Come sempre il cinema lancia uno sguardo sul suo tempo, che è il nostro presente. Come sempre i festival internazionali sono essenziali per segnare il punto, verificare lo stato dell’arte, la settima, capire quali immagini ci interessano oggi perché ci riguardano da vicino. Tra guerre, migranti, lavoro, la lotta femminista e la battaglia LGBTQIA+ per i diritti, col mondo in fiamme per colpa dei nuovi-vecchi piromani come Trump e Musk, l’avanzata delle nuove destre. Tutto questo – e altro ancora – viene racchiuso nella Berlinale 75, ovvero il Festival di cinema di Berlino che ha aperto i battenti il 13 febbraio e andrà avanti fino a domenica 23 febbraio. Con una novità: la neo direttrice Tricia Tuttle, critica e film programmer, che ha riservato un’attenzione particolare ai film delle registe confermando anche lo storico approccio coraggioso, sperimentale e di ricerca che è proprio della kermesse.
A sfidarsi in concorso sono 19 titoli, che vengono proiettati proprio in questi giorni nella sede centrale di Potsdamer Platz. Uno di loro vincerà l’Orso d’oro, il premio maggiore che viene assegnato dalla giuria presieduta dal regista Todd Haynes. La Berlinale è storicamente sottovalutata dalla stampa italiana, intenta a coltivare il proprio orticello e ipnotizzata dagli schermi di Sanremo: sarà perché quest’anno non ci sono film italiani in concorso, una scelta legittima, che dovrebbe portare a riflettere non sui presunti “errori” dei selezionatori tedeschi, ma sulla qualità del nostro cinema che all’estero non convince.
La resilienza delle comunità locali
Va però segnalato un film forte e importante, ospitato nella sezione Forum: Canone Effimero di Gianluca e Massimiliano De Serio, documentario di 120 minuti che racconta la resistenza delle piccole comunità locali in Italia, coloro che cercano di mantenere le tradizioni (usi, costumi, musica, folklore) davanti all’avanzare della modernità omologante delle grandi città, che però non è obbligatoria. Una visione utile per ricordarsi cos’è davvero il nostro Paese, chi erano i nostri nonni, qual è il suo tessuto profondo lontano dai riflettori.
La donna siriana che apre il festival
La Berlinale si è aperta giovedì scorso con la proiezione di The Light di Tom Tykwer. Scelta simbolica perché il regista tedesco – amato qui al festival – racconta la storia di una donna siriana: la governante Farrah, che arriva in una famiglia della classe media tedesca e finisce per sconvolgerne gli equilibri. Un racconto lungo e avvolgente, che supera le due ore e mezza di durata, per trattare un tema caldo del presente, non è un caso che abbia occupato il prezioso slot dell’inaugurazione.
Tornando al concorso, alcuni grandi nomi si sfidano con cineasti più “piccoli”, che significa meno conosciuti ma non minori, d’altronde il senso di un festival sta proprio nella scoperta e non nella conferma del noto. Troviamo registi affermati come Richard Linklater col suo Blue Moon, forte di un cast all star, come dicono gli americani, da Ethan Hawke a Margaret Qualley. E Dreams di Michel Franco con protagonista Jessica Chastain. Un’altra diva, Marion Cotillard, è al centro di The Ice Tower, il film di Lucile Hadžihalilović di genere fantastico con trasfigurazioni horror.
Ucraina, la scuola durante la guerra
Ma Berlino non è festival da lustrini, ed ecco allora nelle pieghe del programma emergere molti temi sociali. In competizione spicca il documentario Timestamp di Kateryna Gornostai, che racconta la guerra in Ucraina da un punto di vista peculiare, quello della scuola. Durante il conflitto infatti la vita scolastica continua, con alunni e insegnanti che si sforzano di continuare ad apprendere anche sotto costante minaccia. Il film è un mosaico della vita quotidiana di insegnanti e studenti provenienti da diverse zone dell’Ucraina, che imprime il suo ritratto sia con la forza degli argomenti che con l’abilità della macchina da presa.
Il nodo della superstizione sembra essere un vero e proprio filo rosso del festival. Sempre in concorso, l’argentino The Message di Ivan Fund lo tratta con potenza: protagonista è una bambina con la facoltà di parlare con gli animali domestici, che viene interpellata dai proprietari a pagamento, in un business ovviamente gestito dai genitori putativi. Un discorso simile viene inscenato da Hot Milk di Rebecca Lenkiewicz, dove una donna e sui figlia si recano in viaggio per raggiungere una guaritrice misteriosa. Senza lanciarsi in interpretazioni spericolate, forse il mondo contemporaneo è particolarmente credulone, e il cinema non può che registrare questa tendenza.
Il Sessantotto, la Cina, l’animazione lesbica
Poi c’è la Storia, quella con le esse maiuscola: per i giustamente nostalgici La cache di Lionel Baier riporta in scena il Sessantotto francese, con tutto ciò che ne consegue a livello pratico e ideologico. La Cina degli anni Novanta viene rappresentata in Living the Land di Huo Meng, la storia di un bambino con i genitori lontani che viene cresciuto da una famiglia allargata, mentre il Paese attraverso la complessa transizione verso la modernità.
Per dimostrare l’attenzione al mondo LGBTQIA+, e il coraggio con cui viene portata avanti, è impossibile citare tutti i semi di queerness che germogliano nei singoli titoli. Ne basti uno a titolo di esempio, il film di animazione Lesbian Space Princess di Emma Hough Hobbs (sezione Panorama), che passa nei prossimi giorni. Ecco la sinossi: “La principessa Saira, figlia delle sgargianti regine lesbiche del pianeta Clitopolis, è sconvolta quando la sua ragazza, la cacciatrice di taglie Kiki, la lascia all’improvviso. Quando Kiki viene rapita dagli Straight White Maliens, incel dimenticati del futuro, Saira dovrà consegnare il riscatto”. Capito?
La canzone di Sofie
Il maggiore film sul lavoro visto finora è stato il danese Home Sweet Home di Frelle Petersen, nella sezione Panorama. Sofie inizia un nuovo impiego, fa visite domiciliari agli anziani nella piccola città in cui vive con la figlia di dieci anni. Alcuni pazienti sono ancora abbastanza mobili, altri sono costretti a letto e soffrono di grave demenza. Sofie tratta tutti con affetto e cure professionali, nell’impiego si riconosce, trova la sua strada e la sua essenza, ma la dura realtà del lavoro diventa gradualmente evidente. La ragazza è sempre più stressata ed esausta, cominci a sfilacciarsi il rapporto con la figlia… Uno straordinario canto dedicato al lavoro della badante, che riporta alle luce le invisibili, coloro che svolgono un mestiere imprescindibile lontano dalla cronaca e trascurato da tutti.
Un piccolo film che potrebbe comprare la Rai (costa poco) e trasmetterlo in prima serata: può essere un’idea, in un Paese in cui l’importanza dei lavoratori e delle lavoratrici viene messa in dubbio un giorno sì e l’altro pure.
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