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Camillo Venesio: «Torino città dell’auto? Forse non più, ma siamo anche molto altro. È ora di puntare sul capitale umano» #finsubito prestito immediato


di
Christian Benna

Il banchiere: Torino è un territorio con una storia imprenditoriale notevole che oggi si è specializzato e rafforzato in diverse filiere industriali, come aerospace, alimentare e  digitale

«Basta parlare di crisi. Il Piemonte vive un momento di fiacchezza, ma le nostre imprese sono solide e ne usciremo a testa alta. Torino forse non è più la città dell’auto. Ma è molto di più: è una città ricca e a forte vocazione industriale che ha visto crescere l’aerospazio, l’alimentare, il digitale. E l’auto, seppure in una fase di transizione, è tutt’altro che finita, non dimentichiamolo». Nei giorni del fermo produttivo delle Carrozzerie di Mirafiori e della cassa integrazione dilagante nell’indotto, Camillo Venesio amministratore delegato e direttore di Banca del Piemonte, 2,8 miliardi di attivo, 500 dipendenti e 39 filiali, invita ad alzare lo sguardo oltre il nostro ombelico. «Ho letto una frase di un professore di computer science di Washington, Pedro Domingos, che dice che “l’Europa ha bisogno di un calcio nel sedere. E forse Trump è l’uomo che lo farà”. Non so se andrà così ma sono d’accordo con Domingos: l’Europa deve cambiare registro. E lo deve fare al più presto».

Camillo Venesio, la crisi di Torino e del Piemonte è colpa dell’Europa?
«Anche, ma non solo. L’Europa è fondamentale per noi, ma non posso far finta che la spinta puramente regolatoria di Bruxelles non stia provocando danni alla nostra economia. Prendiamo il caso dell’auto elettrica: l’Europa ha fatto un piano climatico ma si è dimenticata di lanciare un piano industriale, lo sostiene anche Draghi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. La drammatica crisi che ha colpito Volkswagen lo testimonia. Ci manca poi una Difesa comune. E anche le politiche per l’innovazione e la ricerca sono piene di oneri normativi che deprimono più che stimolare le imprese. Non stupisce quindi che negli ultimi 50 anni l’Europa non abbia creato una sola impresa con una capitalizzazione superiore a 100 miliardi e invece l’America ne ha lanciate ben 6 da oltre mille miliardi. La differenza si vede».

Siamo spacciati?

«Tutt’altro. Ma per invertire rotta bisogna cambiare strategia e modus operandi a Bruxelles. L’Italia è la seconda manifattura europea e la seconda nazione per esportazioni. Con un quadro normativo più snello possiamo diventare davvero competitivi».




















































La nostra regione sta perdendo colpi su questi fronti: manifattura ed export. Siamo scivolando in recessione?
«Piuttosto di crisi io preferisco parlare di autunno fiacco. Ma ci sono tutti gli elementi per uscirne fuori bene. C’è concordia istituzionale tra Comune e Regione, ad esempio, e abbiamo tante specializzazioni industriali, le connessioni universitarie per la ricerca e l’innovazione. Il nostro problema non è la congiuntura sfavorevole ma riuscire a trattenere talenti. Che si formano nei nostri atenei ma poi vanno a lavorare altrove. La nostra fondazione ha sostenuto una ricerca di Luca Davico e Giorgio Donna proprio sul capitale umano per lo sviluppo dell’area metropolitana».

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«Al di là dei singoli casi e delle scelte delle imprese, il capitale umano è la fonte di ricchezza per il futuro. La coltivazione di capitale umano può diventare una vocazione identitaria del territorio torinese. Certo non possiamo sostituire l’industria con il turismo, quest’ultimo è un asset importate e in crescita ma Torino non può vivere solo di quello».

Torino può crescere anche senz’auto?
«L’auto non è finita. Tutt’altro. Ma Torino è molto di più di una città dell’auto. È un territorio con una storia imprenditoriale notevole che oggi si è specializzato e rafforzato in diverse filiere industriali: come aerospace, alimentare, digitale».

I torinesi dispongono di grandi patrimoni ma investono poco. Devono investire di più nell’economia reale?
«Nel Mercante di Venezia William Shakespeare scrive: “il tuo oro e argento sono pecore o montoni?” Certo che bisogna investire di più. Oggi le imprese lo fanno un po’ di meno proprio a causa di una situazione incerta e di un sistema regolatorio che non aiuta».

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14 dicembre 2024 ( modifica il 14 dicembre 2024 | 10:05)



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