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Assetti organizzativi e prevenzione della crisi: rischi e opportunità #finsubito prestito immediato


L’intervento normativo di cui al D.Lgs. 14/2019 ha introdotto una nuova formulazione dell’articolo 2086, cod. civ., imponendo all’imprenditore d’implementare, all’interno dell’impresa, un assetto organizzativo che funga da rilevatore dell’eventuale crisi e perdita della continuità aziendale.

Secondo quanto stabilito dall’articolo 2086, cod. civ., come novellato dall’articolo 375, Codice, l’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori. Il medesimo, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere d’istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.

Come emerge chiaramente dal contenuto della norma, di carattere precettivo, è fatto obbligo all’imprenditore d’implementare, all’interno dell’impresa, un assetto organizzativo che funga da rilevatore dell’eventuale crisi e perdita della continuità aziendale, nonché di procedere senza ritardo, nell’ipotesi di crisi, ad attivare uno degli strumenti che il Legislatore ha introdotto per la soluzione più adeguata alla situazione ingeneratasi.

Il focus del presente intervento è centrato proprio sul primo aspetto, ossia sull’istituzione dell’assetto organizzativo, la cui struttura non è meglio descritta dalla fattispecie in esame, se non che lo stesso sia “adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa”.

 

La ratio di cui all’articolo 2086, cod. civ., nella nuova formulazione

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Il richiamato intervento normativo rappresenta, per così dire, la soluzione a un precedente dibattito dottrinale relativo alla gestione della crisi d’impresa e alla sua correlazione con la governance societaria. Sul punto, è necessario evidenziare 2 orientamenti collegati tra loro. Secondo la prima corrente di pensiero, maggiormente attenta agli aspetti relativi alla continuità aziendale e al costante monitoraggio da parte degli organi di gestione e controllo, l’attenzione dev’essere posta su tutto quanto concerne il perimetro degli obblighi gestionali facenti capo agli amministratori e al contrasto che si può manifestare, nel momento della crisi, tra gli interessi dei soci alla massimizzazione del valore della loro partecipazione e quello dei creditori a essere soddisfatti. La conclusione formulata è che la funzionalizzazione di tali doveri rispetto agli interessi dei creditori potrebbe cagionare una limitazione della libertà gestionale degli amministratori. Il secondo orientamento si preoccupa particolarmente dell’attività di prevenzione della crisi, tramite il monitoraggio dell’andamento dell’attività e un conseguente dovere di pianificazione degli interventi e dei rimedi prima ancora che lo scenario di crisi si manifesti.

Tale contrasto ha sicuramente condotto a un ripensamento della gestione della crisi d’impresa, caratterizzato da una progressiva correlazione tra principi di corretta amministrazione, adeguati assetti e monitoraggio della continuità aziendale. Per “continuità aziendale” deve intendersi la capacità dell’impresa di svolgere la propria attività in un prevedibile futuro. Pertanto, il monitoraggio della continuità aziendale permette di accertare precocemente gli indizi iniziali della crisi, allo scopo di pianificare gli interventi da adottare, già nel momento in cui la continuità inizia a essere pregiudicata.

La nuova formulazione dell’articolo 2086, cod. civ., dev’essere dunque letta alla luce di tale idea di fondo. Infatti, la previsione di un dovere dell’imprenditore e degli organi sociali d’istituire assetti organizzativi per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita di continuità aziendale, nonché la previsione di un dovere di attivarsi per l’adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi, trova la sua ragione fondante nell’emersione anticipata della crisi e nella predisposizione di un adeguato assetto per tale scopo, attraverso una sempre maggiore attenzione alla continuità aziendale.

L’obbligo di adottare adeguati assetti organizzativi non è, peraltro, una novità assoluta, essendo stato introdotto nel codice civile dalla Riforma del diritto societario e, secondo una corrente interpretativa, potendo essere ricavato anche antecedentemente alla richiamata Riforma, come riflesso e conseguenza del più generale dovere di diligenza, che imporrebbe di dotare la società di un adeguato assetto organizzativo funzionale al fine di garantire corretti processi decisionali e gestionali.

Susseguentemente alla Riforma del diritto societario, questo dovere risulta espressamente previsto dalla fattispecie normativa di cui all’articolo 2381, cod. civ., secondo cui il CdA valuta, sulla base delle informazioni ricevute, l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società e gli organi delegati curano che tale assetto sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa.

Il Legislatore della Riforma societaria ha quindi espressamente inteso sostituire il generico (e di difficile concreta individuazione) dovere di vigilanza sul generale andamento dell’attività, con obblighi precisamente indicati e specificati in termini di adeguatezza organizzativa, agire informato e rispetto dei principi di buona amministrazione.

L’intervento normativo del 2019 prevede, inoltre, un’ulteriore evoluzione sul piano finalistico, perché al dovere di adottare adeguati assetti organizzativi viene attribuito uno scopo ben preciso, e cioè di consentire di rilevare tempestivamente la crisi e la perdita di continuità e di porre in essere tempestivi interventi per adottare gli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità. Si assiste, quindi, a una duplice finalità: rilevare e, nel caso, intervenire con la massima tempestività per la risoluzione delle problematiche emerse.

Come premesso, pur avendo chiarito la finalità, il Legislatore non ha precisamente indicato il contenuto degli assetti organizzativi, limitandosi a sottolineare la necessità della loro adeguatezza.

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Tale concetto implica, naturalmente, l’implementazione di una struttura di organizzazione interna che possa ritenersi “adeguata” all’andamento dell’attività d’impresa e, quindi, alle variazioni del rischio gestionale che questo comporta. Tale strutturazione dovrà necessariamente essere oggetto di continue analisi e verifiche interne.

Conseguentemente alla novella di cui al D.Lgs. 14/2019, la struttura organizzativa dev’essere ben intesa come lo strumento operativo tramite cui la percezione della crisi arriva agli organi societari, affinché la sua completa conoscenza consenta di predisporre i rimedi più opportuni.

Tuttavia, l’adeguatezza comporta ulteriormente una valutazione discrezionale da parte degli organi gestori, in merito al livello di organizzazione da raggiungere. Tale discrezionalità dev’essere orientata sulla base dei parametri quantitativi della natura e della dimensione dell’impresa.

Rientrando, dunque, nell’ambito delle valutazioni discrezionali, gli operatori del diritto si sono chiesti se il nuovo assetto dei doveri organizzativi introdotto dalla Riforma del 2019, esplicitamente volti alla tempestiva rilevazione della crisi e al tempestivo intervento per la sua risoluzione, possa avere riflessi sui criteri di valutazione della responsabilità gestoria e, in caso affermativo, in quali termini.

Come evidenziato dalla giurisprudenza, anche di merito, la mancata adozione di adeguati assetti da parte dell’organo amministrativo è tanto più grave quando l’impresa si trovi in situazione di equilibrio economico finanziario, dal momento che gli adeguati assetti sono funzionali proprio a evitare che l’impresa scivoli verso una situazione di crisi o di perdita della continuità, consentendo all’organo amministrativo di percepire tempestivamente i segnali di allarme e di assumere le iniziative opportune. Una volta manifestatasi la crisi, sfuma la gravità dell’adozione di adeguati assetti e viene in rilievo invece la mancata adozione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per fronteggiarla (cfr. Tribunale di Cagliari, sezione imprese, sentenza 19 gennaio 2022).

Addirittura, secondo quanto indicato nel medesimo provvedimento, l’assenza di un adeguato assetto organizzativo rappresenta una grave irregolarità che giustifica l’adozione di un provvedimento del Tribunale ex articolo 2409, cod. civ., quale la nomina di un amministratore giudiziario con mandato a verificare la predisposizione da parte degli amministratori degli atti organizzativi necessari.

 

Gli assetti organizzativi alla luce della business judgment rule

Il problema del rapporto tra l’ambito operativo del principio della business judgment rule e le scelte inerenti gli assetti organizzativi si viene a creare perché l’opzione organizzativa rientra nel concetto di gestione societaria, con ciò a dire che l’organizzazione diviene espressione di scelte di fondo di tipo gestionale ed è, a sua volta, funzionale all’adozione di decisioni in grado di orientare, influenzare e dirigere la gestione, anche nel momento di crisi.

Il Tribunale di Roma, sezione imprese, con la sentenza del 15 settembre 2020 ha compiutamente analizzato la questione e, con elaborata motivazione, ha fornito perfetta risposta al sindacato relativo all’operato degli amministratori alla luce del principio in oggetto.

Più specificamente, è stato osservato che, all’amministratore di una società, non può essere imputato a titolo di responsabilità ex articolo 2392, cod. civ., di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, in ragione del fatto che una valutazione di tal genere pertiene alla discrezionalità imprenditoriale e può, conseguentemente, rilevare eventualmente come giusta causa di revoca dell’amministratore e non già come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Da ciò deriva che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, o le modalità e circostanze di tali scelte, ma solamente l’omissione di tutte quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità (cfr., Cassazione, sentenza n. 3652/1997).

Ciò significa, in altre parole, che gli amministratori non possono essere chiamati in causa a titolo di responsabilità solamente per il fatto che la gestione dell’impresa sociale ha avuto un esito pregiudizievole.

Ne consegue che la valutazione sull’eventuale responsabilità giuridica dell’amministratore non attiene al merito delle scelte imprenditoriali da lui compiute. La responsabilità giuridica di quest’ultimo può discendere, tuttavia: “dal rilievo che le modalità stesse del suo agire denotano la mancata adozione di quelle cautele o la non osservanza di quei canoni di comportamento che il dovere di diligente gestione ragionevolmente impone, secondo il metro della normale professionalità, a chi è preposto ad un tal genere di impresa, ed il cui difetto diviene perciò apprezzabile in termini di inesatto adempimento delle obbligazioni su di lui gravanti”.

Nel caso degli amministratori di società, come in tutti i casi di gestione d’interessi altrui, il dovere in questione assume con ancora più forza i caratteri del dovere di protezione dell’altrui sfera giuridica, intesa quindi come il dovere di prendersi cura dell’interesse di colui, sia esso una persona fisica oppure un ente, che ha incaricato il gestore dell’amministrazione delle proprie attività e, per ciò stesso, lo ha investito di un compito con indubbie connotazioni fiduciarie.

L’amministratore ha, quindi, il solo dovere di gestire l’impresa sociale e, più in generale, di agire con la dovuta diligenza. Non ha, viceversa, l’obbligo di amministrare la società con successo economico. Nell’ipotesi in cui gli amministratori abbiano agito con la dovuta diligenza e, ciò malgrado, abbiano scelto di compiere operazioni imprenditoriali che si siano rivelate inopportune, il principio dell’insindacabilità nel merito delle loro scelte comporta che gli amministratori non sono responsabili per gli eventuali danni così arrecati alla società, anche nel caso in cui si versi in ambito di danni che altri amministratori, più competenti, avveduti e capaci, avrebbero con certezza evitato.

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Risulta, dunque, non solo opportuno, ma addirittura necessario domandarsi se il principio della business judgment rule, venutosi a formare con specifico riferimento alle scelte imprenditoriali degli amministratori, possa applicarsi alle scelte “organizzative” da essi poste in essere.

Secondo la giurisprudenza, la risposta non può che essere affermativa, partendo proprio dalla formulazione dell’articolo 2381, cod. civ., norma che si riferisce al presidente, al comitato esecutivo e agli amministratori delegati e che pone a carico di questi ultimi il dovere di curare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società.

Sotto tale profilo, occorre sottolineare che la funzione organizzativa rientra sempre nel generale e ampio alveo dell’ambito della gestione sociale e che essa deve necessariamente essere esercitata impiegando un ineliminabile margine di libertà, ragion per cui le decisioni relative all’espletamento della stessa vengono incluse tra le decisioni strategiche. La predisposizione di un assetto organizzativo non costituisce dunque l’oggetto di un obbligo a contenuto specifico, ma al contrario, di un obbligo non predeterminato nel suo contenuto, che acquisisce concretezza solo avuto riguardo alla specificità dell’impresa esercitata e del momento in cui quella scelta organizzativa viene posta in essere.

Tale obbligo organizzativo può essere efficacemente assolto facendo precipuo riferimento non solo ed esclusivamente a rigidi parametri normativi, perché come detto non è rinvenibile, sulla semplice base del dettato normativo contenuto nel codice civile, un modello di assetto utile per tutte le situazioni, ma anche ai principi elaborati dalle c.d. “scienze aziendalistiche”, cioè dalle associazioni di categoria o dai codici di autodisciplina.

Come affermato dalla giurisprudenza e dalla dottrina: “l’esistenza di un ambito discrezionale entro il quale gli amministratori possono compiere le loro scelte aventi carattere organizzativo deriva dal fatto che il legislatore ha utilizzato come criterio di condotta, a cui essi devono attenersi nella configurazione e nella verifica degli assetti societari, la clausola generale dell’adeguatezza e, dunque, una clausola elastica, al pari, della clausola di diligenza dovuta nel realizzare una scelta imprenditoriale”.

La scelta organizzativa rimane sempre una scelta afferente al merito gestorio, per la quale vale necessariamente il criterio dell’insindacabilità, e ciò pur sempre nella vigenza dei limiti sopra esposti e, cioè, che la scelta effettuata sia razionale e/o ragionevole e non sia connotata, sin dall’inizio, da imprudenza, tenuto conto del contesto, e sia stata accompagnata dalle verifiche imposte dalla diligenza richiesta dalla natura dell’incarico.

 

Le conseguenze del nuovo articolo 2086, cod. civ.

Il richiamato intervento normativo rappresenta, per così dire, la soluzione a un precedente dibattito.

Acclarata, dunque, l’applicabilità della regola della business judgment rule anche alle scelte organizzative, appare necessario esaminare il modo di atteggiarsi della regola suddetta con riferimento ai doveri codificati nella nuova formulazione dell’articolo 2086, cod. civ..

Un sicuro elemento di novità introdotto dall’intervento normativo del 2019 è rappresentato dal fatto che i doveri degli organi di gestione, che sino a ora erano stati declinati tendenzialmente nel momento della crisi già in atto, vengono in rilievo già nella fase pre-crisi. Come già evidenziato, infatti, l’articolo 2086, cod. civ., sancisce il dovere degli amministratori di adottare adeguati assetti organizzativi con la doppia finalità: di rilevazione tempestiva della crisi e di intervento tempestivo al fine del superamento della stessa.

Si deve, allora, chiedere se sia configurabile (ed entro che limiti) una responsabilità degli organi di gestione nel caso in cui non sia stata fatta alcuna pianificazione, non vi sia stata alcuna attenzione agli indizi di pre-crisi e non sia stato adottato alcun assetto organizzativo a tal fine, ovvero, nel caso in cui gli indizi siano stati rilevati e la pianificazione sia stata fatta, ma le scelte organizzative degli amministratori si siano rivelate inefficaci al fine della risoluzione della crisi e si sia, comunque, arrivati al fallimento con danno per i creditori.

Sotto altro profilo, si tratta, quindi, di capire in primo luogo se e in quali termini possa essere sindacata la scelta di una determinata struttura organizzativa piuttosto che un’altra, ai fini della rilevazione tempestiva degli indici della crisi e della perdita della continuità aziendale.

In secondo luogo, si tratta di capire se un eventuale deficit organizzativo possa consentire di affermare la responsabilità dell’organo gestorio laddove siano state assunte determinate scelte relative alla pianificazione degli interventi per prevenire la degenerazione della crisi, che poi si siano invece rivelate dannose o fallimentari.

Ebbene, la più recente giurisprudenza afferma che sotto entrambi i profili (sia quello della rilevazione della crisi, sia quello degli interventi conseguenti), le scelte dell’amministratore – siano esse prettamente gestionali, siano esse di tipo organizzativo – possano essere sindacate nei limiti del principio della business judgment rule. Di conseguenza, mentre da un lato appare certo che la mancata adozione di qualsivoglia misura organizzativa comporti di per sé una responsabilità dell’organo gestorio, dall’altro, si ritiene possibile assoggettare a sindacato giudiziale la struttura organizzativa predisposta dall’amministratore nei limiti e secondo i criteri della proporzionalità e della ragionevolezza (e, precisamente, in questo ambito secondo i criteri della adeguatezza), ciò al fine di verificare se fosse idonea a far emergere gli indici della perdita della continuità aziendale e se la tipologia degli interventi scelta dall’organo gestorio sia ragionevole e non manifestamente irrazionale. Ed è evidente che tale verifica andrà effettuata sulla base di una valutazione ex ante, tenendo conto delle informazioni conosciute o conoscibili dall’amministratore, e a prescindere dai risultati concreti che poi sono stati raggiunti. Ciò, in quanto la responsabilità dell’amministratore presuppone pur sempre una condotta colposa o dolosa.

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Ne deriva che dovrà considerarsi responsabile l’amministratore che ometta del tutto di approntare una qualsivoglia struttura organizzativa, rimanendo inerte di fronte ai segnali indicatori di una situazione di crisi o pre-crisi. Per contro, non potrà ritenersi responsabile l’amministratore che abbia predisposto delle misure organizzative che, con una valutazione ex ante, erano adeguate, secondo le sue conoscenze e secondo gli elementi a sua disposizione, a verificare tempestivamente la perdita della continuità aziendale. Parimenti, non potrà ritenersi responsabile l’amministratore che, pur avendo tempestivamente rilevato – grazie alla struttura organizzativa predisposta – il venir meno della continuità aziendale, ponga in essere degli interventi che, successivamente, si rivelino inutili a evitare la degenerazione della crisi (ed eventualmente il fallimento della società), qualora tali interventi – sempre sulla base di una valutazione ex ante – non risultino manifestamente irrazionali e ingiustificati.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Crisi e risanamento.



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