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«Non c’è sicurezza senza diritti e servizi» #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


VENEZIA – Una manifestazione di protesta in barca in Canal Grande ha accolto la visita del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, oggi (2 dicembre) in laguna per incontrare il presidente del Veneto Luca Zaia e i vertici del Comune e della Prefettura.

La protesta è stata organizzata dai collettivi e dai centri sociali veneziani per rinnovare la contrarietà al nuovo Ddl Sicurezza e a quella che è descritta con forza come una deriva securitaria in chiave repressiva. Tra gli organizzatori spiccano il Laboratorio Occupato Morion, la Rete Nazionale No Ddl Sicurezza-A pieno regime e con loro numerosi attivisti veneziani e mestrini. Realtà che si preparano a partecipare, come molte altre in Veneto, alla manifestazione nazionale contro il Ddl Sicurezza a Roma il 14 dicembre.


Diverse imbarcazioni hanno sfilato con striscioni e fumogeni cercando di avvicinarsi a Palazzo Balbi, sede della Regione Veneto, circondati dalle barche delle forze dell’ordine. Non si registrano disordini.

Le rivendicazioni

«L’unica soluzione di cui si sono riempiti la bocca è l’ennesimo atto di repressione – dichiara il Laboratorio Occupato Morion, tra i promotori della protesta, facendo anche esplicito riferimento alla tragica morte di Giacomo Gobbato, il 26enne attivista ucciso a coltellate a settembre per difendere una donna da una rapina -. Più forze di polizia nelle strade, mentre i finanziamenti a welfare e politiche sociali vengono quotidianamente tagliati dalla Giunta Brugnaro».

«Quale sicurezza se si produce solo abbandono? Mentre in tutta Italia migliaia di persone si stanno mobilitando e organizzando per esprimere il proprio dissenso al cosiddetto Ddl Sicurezza, oggi Zaia e Brugnaro hanno accolto il ministro Piantedosi giunto a Venezia. Come Laboratorio Occupato Morion e Rete Nazionale No Ddl Sicurezza-A pieno regime, abbiamo deciso di organizzare un’accoglienza degna, rivendicando un altro concetto di sicurezza» precisano gli attivisti.

L’attacco va, ancora una volta, nella direzione della stretta securitaria che viene imputata all’amministrazione Brugnaro in un contesto – quello veneziano – infiammato negli ultimi mesi prima dall’inchiesta sulle presunte tangenti che ha travolto gli stessi vertici comunali e successivamente dal riemergere con forza della piaga della marginalità sociale e della criminalità di strada a essa connessa. Una piaga che, a detta degli attivisti, le istituzioni non stanno affrontando se non appunto con una stretta securitaria.

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«Sono dieci anni che Brugnaro si gioca la carriera politica facendo le spalle grosse con le strette securitarie – aggiungono gli attivisti -. Le strade e le rive si sono riempite di pattuglie di polizia locale ma la situazione è solo peggiorata. A più di due mesi dalla scomparsa di Giacomo, dopo la piazza dello scorso 28 settembre in cui migliaia di persone a Mestre hanno reclamato forte un cambio di rotta nelle politiche cittadine; dopo la violenza subita da una ragazza a Rialto a opera, pare, proprio di un militare; a pochi giorni da un altro episodio di sangue a Marghera, le uniche parole e risposte che continuano a emergere richiamano solo l’inasprimento delle pene, maggiore controllo, più polizia. Circa due mesi fa lo stesso Brugnaro ha affermato che “Venezia deve diventare simbolo di sicurezza per tutta Italia”. Se sicurezza significa più polizia, sempre più case abbandonate, lavori sempre più precari, tagli alle politiche pubbliche e di welfare, inquinamento dei territori, devastazione della laguna per permettere il ritorno delle navi da crociera, allora noi non ci stiamo».

E l’attacco non ha risparmiato l’esponente del Governo. «La presenza di Piantedosi a Venezia è l’espressione di un Governo che sta promuovendo la forza militare, poliziesca e giudiziaria per risolvere i problemi sociali – chiudono gli attivisti -. Mentre si impoveriscono e marginalizzano larghe fasce della popolazione, si stringe la maglia repressiva per scoraggiare ed impaurire chi si oppone. Il Ddl Sicurezza si sta configurando come il massimo strumento attraverso cui istituzionalizzare la repressione e il dissenso».





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