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Appello incidentale tardivo. Brevi riflessioni a margine di cass. n. 15100/2024. #finsubito prestito immediato

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Di Giorgia Alemanno –


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Sommario: 1. La vicenda. – 2. La decisione della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione.

 

 1.La vicenda.

 

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Con ordinanza n. 15100 del 29 maggio 2024[1], prendendo le mosse da un procedimento di responsabilità civile per circolazione stradale, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha (nuovamente) affrontato il tema dell’appello incidentale tardivo e dei suoi corollari, inserendosi coerentemente in un percorso interpretativo in materia già affrontato dalla giurisprudenza, conclusosi recentemente con la sentenza delle Sezioni Unite del 28 marzo 2024, n. 8486.

L’attore, trovatosi coinvolto in un sinistro stradale in cui il conducente dell’altro veicolo era rimasto ignoto, si rivolgeva al Tribunale di Teramo al fine di ottenere un congruo risarcimento del danno, convenendovi in giudizio UnipolSai Assicurazioni, società all’uopo designata dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, gestito a sua volta da CONSAP S.p.a.[2], anch’essa citata in giudizio. Il Tribunale di prime cure accoglieva la domanda e condannava i convenuti in solido al pagamento di 38.419,70 euro, oltre accessori.

L’istante, insoddisfatto dell’ammontare del risarcimento, proponeva appello in relazione al quantum di quest’ultimo, mentre, la UnipolSai, proponeva appello incidentale, in ordine all’an della responsabilità riconosciutale. In tale contesto, nella memoria conclusionale, l’appellante sollevava eccezione di tardività dell’appello incidentale, proposto a seguito dello spirare del termine lungo previsto dall’art. 327 del codice di procedura civile. La Corte d’Appello di L’Aquila, tuttavia, nulla statuendo circa tale eccezione, osservava invece che l’appello incidentale della UnipolSai dovesse essere esaminato prioritariamente nel giudizio, poiché avente ad oggetto fatti costitutivi della domanda.

La Corte rilevava, inoltre, l’assenza in atti di una chiara ricostruzione della dinamica dell’incidente stradale, alla quale parte attrice avrebbe dovuto ottemperare ai sensi dell’art. 2697 c.c., constatando, al contrario, come le prove acquisite in giudizio apparissero inattendibili, confuse e a tratti contraddittorie[3]. Il giudice di secondo grado, esaminato preliminarmente l’appello incidentale, vagliava successivamente nel merito l’appello principale ai soli fini della eventuale revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, riconosciuto all’appellante nel corso del giudizio di primo grado, rilevando, ad una prima lettura, l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello principale.

La Corte d’Appello Abruzzese, dunque, accoglieva l’appello incidentale e revocava l’ammissione al gratuito patrocinio dell’appellante, il quale decideva pertanto di ricorrere per Cassazione sulla base di cinque motivi.

In primo luogo, rappresentava la violazione e la falsa applicazione degli articoli 112 e 161 c.p.c. in ragione della omessa pronuncia della Corte d’Appello sull’eccezione di tardività dell’appello incidentale. In secondo luogo, segnalava la violazione e la falsa applicazione degli artt. 324, 325, 327, 334 e 342 cod. proc. civ., nonché dell’art. 2909 cod. civ., e ciò poiché, secondo il ricorrente, l’interesse ad impugnare di parte convenuta doveva ritenersi preesistente e non logicamente consecutivo all’appello principale sul quantum. Rilevava, inoltre, che la Corte d’Appello, avendo ritenuto inammissibile il proprio appello principale, avrebbe dovuto dichiarare la perdita di efficacia dell’appello incidentale[4], così violando l’art 334 comma 2 c.p.c[5].

Con il quarto motivo di ricorso, infine, il ricorrente osservava l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui non era stato ritenuto credibile un testimone; mentre, con il quinto motivo, denunciava la violazione di legge generata dalla errata quantificazione dei postumi invalidanti, che avrebbe dovuto essere quella indicata in appello con la richiesta di rinnovazione di CTU[6].

Ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il Consigliere delegato dal Presidente della sezione proponeva la definizione accelerata del giudizio, attraverso, da una parte, la dichiarazione di manifesta infondatezza dei primi due motivi di ricorso in ragione del fatto che l’appello incidentale tardivo è sempre consentito nei confronti dell’appellante principale, anche se è rivolto contro capi della sentenza diversi da quelli oggetto dell’appello principale[7]. Dall’altra, invece, proponeva la dichiarazione di manifesta infondatezza del terzo motivo, poiché la sentenza impugnata aveva mancato di esaminare l’appello principale semplicemente perché lo stesso era stato ritenuto assorbito, ex art. 276 secondo comma c.p.c., con relativo approfondimento di merito esclusivamente ai fini della valutazione della possibilità per parte appellante di godere del patrocinio a spese dello Stato. Il ricorrente, tuttavia, insisteva per ottenere la decisione e veniva, pertanto, fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

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2.La decisione della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione.

Tutto ciò premesso, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentatole, dichiarando inammissibili i motivi numero 1, 3, 4 e 5 e ritenendo infondato il motivo numero 2.

È proprio attraverso l’analisi del secondo motivo di ricorso, infatti, che la Corte ha preso posizione sul modo di intendere l’appello incidentale tardivo, confermando ancora una volta l’orientamento giurisprudenziale ormai prevalente.

Attraverso tale motivo, il ricorrente ha eccepito l’esistenza di una presunta incompatibilità tra la figura dell’appello incidentale tardivo e la contestazione relativa all’an della responsabilità, rappresentando che l’unica ragione che lo aveva persuaso ad impugnare il provvedimento innanzi alla Corte d’Appello di L’Aquila era stata esclusivamente la sua parziale soccombenza nel quantum all’esito del giudizio di primo grado. Tale impugnazione, tuttavia, a dire del ricorrente, non avrebbe inciso sulla posizione processuale della UnipolSai, la quale, soccombente sull’an in primo grado, ben avrebbe potuto tempestivamente dolersi della decisione del giudice, senza attendere lo spirare del termine previsto per l’impugnazione.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rilevato l’infondatezza di tale doglianza, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale dominante secondo cui è ammessa l’impugnazione incidentale tardiva anche quando sia scaduto il termine per l’impugnazione principale, indipendentemente dal fatto che si tratti di un capo autonomo della sentenza stessa[8], dunque a prescindere dal fatto che già esistesse o meno un autonomo interesse ad impugnare.

L’esito a cui giunge oggi la Cassazione, come anticipato, si inserisce in un filone interpretativo, consolidatosi definitivamente nel marzo 2024 con la nota sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite n. 8486[9], ma già anticipato da diversi autorevoli contributi dottrinali e giurisprudenziali[10], che reputavano ormai pacifica la possibilità di proporre impugnazione incidentale tardiva avverso qualunque capo della sentenza, anche se non connessa all’impugnazione principale[11].

Tale orientamento affonda innanzitutto le sue radici in un argomento letterale: gli articoli 334, 343 e 371 c.p.c., infatti, non contengono alcuna distinzione tra capi autonomi e capi dipendenti, ma, genericamente, dispongono la possibilità per le parti di proporre l’impugnazione incidentale tardiva quando per le stesse sia decorso il termine per impugnare ovvero quando abbiano prestato acquiescenza alla sentenza. Inoltre, deve osservarsi che, da un punto di vista sistematico, la medesima questione è stata risolta nel 2010 dal legislatore, il quale, con l’introduzione del codice del processo amministrativo[12], ha inserito all’interno dell’art. 96 un richiamo agli artt. 333 e 334 c.p.c., aggiungendo, rispetto ad essi, due significativi incisi: “3. l’impugnazione incidentale di cui all’articolo 333 del codice di procedura civile può essere rivolta contro qualsiasi capo di sentenza e deve essere proposta dalla parte entro sessanta giorni dalla notificazione della sentenza o, se anteriore, entro sessanta giorni dalla prima notificazione nei suoi confronti di altra impugnazione. 4. Con l’impugnazione incidentale proposta ai sensi dell’articolo 334 del codice di procedura civile possono essere impugnati anche capi autonomi della sentenza; tuttavia, se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale perde ogni efficacia”. Dunque, sebbene in ambito differente, il favor del legislatore verso l’impugnabilità di qualsiasi capo della sentenza poteva facilmente desumersi già attraverso la disciplina amministrativistica.

Infine, anche un argomento teleologico ha permesso di far pendere l’ago della bilancia verso la tesi più permissiva. Infatti, ratio dell’appello incidentale tardivo è proprio quella di permettere alla parte parzialmente soccombente, che abbia temporaneamente deciso di non proporre appello, di farlo in un secondo momento, laddove controparte abbia nel frattempo proposto appello, magari poco prima della scadenza dei termini di legge.

Alla luce di tale regola, sarebbe irragionevole limitare le eventuali doglianze di chi, in un primo momento, avesse valutato l’inopportunità di proporre appello. La scelta processuale della parte parzialmente soccombente dovrebbe, dunque, essere pienamente rimessa in discussione quando la controparte decida, invece, di impugnare la sentenza, come, cioè, se l’acquiescenza non fosse mai stata prestata e/o come se i termini per impugnare non fossero decorsi e la parte avesse ancora la possibilità di appellare ogni capo della sentenza di primo grado.

In tal senso hanno chiosato anche le Sezioni Unite 2024, le quali hanno evidenziato che la ratio dell’art 334 c.p.c sia da rinvenire nella volontà del legislatore di evitare la “corsa” all’impugnazione e di consentire alla parte parzialmente soccombente disposta ad accettare l’esito complessivo della lite di stare “alla finestra” sapendo che se la sentenza, nella parte ad essa favorevole, sarà impugnata, potrà a sua volta impugnare nei termini ordinari[13]. Tale impostazione trova inoltre conferma nella principale caratteristica dell’appello incidentale tardivo, che è proprio quella di dipendere dall’appello principale: se non ci fosse l’appello principale, infatti, l’appello incidentale tardivo non potrebbe essere proposto e nel caso in cui il primo fosse rigettato per qualunque ragione, con sé cadrebbe anche il secondo, andandosi così a consolidare la sentenza impugnata.

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Come anticipato, all’interno di tale filone interpretativo si è recentemente inserita anche la citata sentenza delle Sezioni Unite di Cassazione, la quale ha definitivamente consacrato l’orientamento in parola. La pronuncia si è concentrata maggiormente sui limiti soggettivi della impugnazione incidentale tardiva, soprattutto dal lato passivo e con riferimento alle obbligazioni solidali, rilevando infine che la stessa sia ammissibile anche quando rivesta le forme dell’impugnazione adesiva rivolta contro la parte destinataria dell’impugnazione principale in ragione del fatto che l’interesse alla sua proposizione può sorgere dall’impugnazione principale, principio applicabile anche con riferimento all’interesse insorto a seguito di un’impugnazione incidentale tardiva[14].

Ciononostante, seppur incidentalmente in quanto non oggetto della ordinanza di rimessione, le Sezioni Unite hanno preso posizione anche sui c.d. limiti oggettivi della impugnazione incidentale tardiva, richiamando le Sezioni unite n. 4640 del 7 novembre 1989, così confermando che l’art. 334 cod. proc. civ., che consente alla parte, contro cui è stata proposta impugnazione […], di esperire impugnazione incidentale tardiva, senza subire gli effetti dello spirare del termine ordinario o della propria acquiescenza, è rivolto a rendere possibile l’accettazione della sentenza, in situazione di reciproca soccombenza, solo quando anche l’avversario tenga analogo comportamento, e, pertanto, in difetto di limitazioni oggettive, trova applicazione con riguardo a qualsiasi capo della sentenza medesima, ancorché autonomo rispetto a quello investito dall’impugnazione principale[15]. Un espresso richiamo è stato rivolto anche a Cass., Sez. III, n. 25285 dell’11 novembre 2020, con cui era stato statuito che l’impugnazione incidentale tardiva del coobbligato in solido, rivolta contro la parte investita dell’impugnazione principale, è ammissibile anche se fondata su motivi diversi da quelli fatti valere dal ricorrente principale, rilevandosi che «una diversa e più restrittiva interpretazione indurrebbe ciascuna parte a cautelarsi proponendo un’autonoma impugnazione tempestiva sulla statuizione rispetto alla quale è rimasta soccombente, con inevitabile proliferazione dei processi d’impugnazione[16].

La parte convenuta in appello, in definitiva, deve avere la possibilità di proporre impugnazione incidentale tardiva senza limiti oggettivi, potendo essa investire qualsiasi capo della sentenza, ancorché autonomo rispetto a quello aggredito dalla impugnazione principale[17].

Deve in ogni caso darsi atto di un orientamento minoritario secondo cui l’impugnazione incidentale tardiva dovrebbe essere ammessa esclusivamente quando esista un collegamento diretto tra l’oggetto dell’impugnazione principale e quello dell’impugnazione incidentale e, in particolare, un legame relativo al capo impugnato in via principale o ad un capo ad esso connesso o dipendente, orientamento da ritenersi definitivamente abbandonato a seguito delle Sezioni Unite di marzo 2024[18].

Quanto al primo motivo di ricorso, invece, i Giudici di Legittimità hanno rilevato che la mancata pronuncia da parte del giudice dell’appello su un’eccezione di inammissibilità sollevata dall’appellante non determini l’impugnabilità della sentenza che chiuda il relativo giudizio per “omessa pronuncia o per carenza di motivazione”, in quanto tali vizi sono suscettibili di configurarsi soltanto in riferimento a domande od eccezioni di merito e non anche di rito.

La Corte, infatti, ha statuito che il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, sottolineando, però, come tale vizio, laddove violi direttamente e di per sé norme diverse dall’art 112 c.p.c., possa essere fatto valere esclusivamente mediante diretta censura della parte della decisione violativa di tali norme.

Non basta, pertanto, la mera allegazione dell’omessa pronuncia, ma occorre anche la specifica indicazione dei profili di erroneità e di censurabilità della soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte[19]. La Corte ha dunque evidenziato come, nel caso di specie, il ricorrente non avesse dedotto una specifica censura relativa alla questione processuale su cui vi sarebbe stata omissione di pronuncia, omissione semplicemente denunciata dallo stesso, senza null’altro aggiungere. Poste tali premesse, allora, la Corte è giunta ad una naturale conclusione: in assenza di specifiche argomentazioni e laddove l’impostazione logico-giuridica della sentenza definitiva risulti incompatibile con la pretesa o con l’eccezione avente ad oggetto una questione di rito, quest’ultima deve ritenersi implicitamente rigettata[20].

Quanto al terzo motivo di ricorso, la Terza Sezione ha osservato che il provvedimento con cui il giudice di secondo grado ha revocato il gratuito patrocinio a spese dello Stato alla parte appellante è caratterizzato da autonomia rispetto alla sentenza che definisce il giudizio, a prescindere dal momento processuale e dalle modalità attraverso cui tale revoca sia disposta[21]. Pertanto, ribadisce la Corte richiamando le Sezioni Unite del 2020[22], tale provvedimento deve ritenersi autonomamente impugnabile attraverso l’opposizione ex art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002[23] e art. 15 del d.lgs. n. 150 del 2011[24]. Tale premessa implica che la generica valutazione di infondatezza e inammissibilità dell’appello principale manifestata dalla Corte deve essere ritenuta del tutto irrilevante rispetto al merito della causa, in quanto afferente all’indagine relativa all’esistenza dei requisiti per accedere al patrocinio a spese dello Stato. Il terzo motivo di ricorso, dunque, è stato ritenuto estraneo alla ratio decidendi e privo di decisività.

Il quarto e il quinto motivo di ricorso, invece, sono apparsi di agevole soluzione: in sede di legittimità, ribadisce la Corte, non è possibile sindacare il giudizio di fatto esperito dal giudice di merito, l’unico competente all’apprezzamento dei fatti e delle prove[25], e ciò sia quando il giudice d’appello abbia espressamente ritenuto una prova inattendibile, sia quando una determinata contestazione, già fatta valere all’interno dell’appello principale, sia stata assorbita per effetto dell’accoglimento dell’appello incidentale.

Alla luce della disamina condotta dalla Terza Sezione Civile della Corte, non sorprende che la stessa, in applicazione del nuovo art. 380-bis c.p.c., abbia deciso di condannare parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, al pagamento ex art 96 co. 3 c.p.c. di un risarcimento in favore di controparte, al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, nonché di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012.

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In conclusione, dunque, con la pronuncia in commento la Corte ha ribadito principi già noti, rafforzando ancor di più quell’orientamento garantista sviluppatosi negli ultimi anni e ormai prevalente, sia in dottrina che in giurisprudenza; il che è però da apprezzare a conferma – una volta tanto – di una stabilità negli indirizzi interpretativi che consente agli operatori di giovarsi di quella certezza del diritto di cui troppo spesso si sente la mancanza.

[1] Cass., III sez. civ., ordinanza n. 15100 del 29 maggio 2024, massima: “L’inammissibilità è una invalidità specifica delle domande e delle eccezioni delle parti ed è pronunciata nel caso in cui manchino dei requisiti necessari a renderle ritualmente acquisite al tema del dibattito processuale: pertanto, se il giudice di merito omette di pronunciarsi su un’eccezione di inammissibilità, la sentenza di merito non è impugnabile per l’omessa pronuncia o per la carenza di motivazione, ma unicamente per l’invalidità già vanamente eccepita, in quanto ciò che rileva non è il tenore della pronuncia impugnata, bensì l’eventuale esistenza appunto di tale invalidità. Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 cod. proc. civ. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte. [..] È ammessa l’impugnazione incidentale tardiva anche quando sia scaduto il termine per l’impugnazione principale, indipendentemente dal fatto che si tratti di un capo autonomo della sentenza stessa e che, quindi, l’interesse ad impugnare fosse preesistente”;

[2] Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici S.p.A.

[3] Sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 498/2022 del 4 aprile 2022, richiamata dalla III sez. civ. Cass. in commento: “posto che l’auto si sarebbe immessa nella circolazione nella stessa direzione di marcia del motociclo, non risulta comprensibile quale specifica dinamica avrebbe potuto innescare e produrre, come dichiarato dal teste, l’urto dello scooter contro lo sportello di tale auto. A tale fondamentale perplessità, non altrimenti risolvibile sulla base delle allegazioni di fatto nel processo, si aggiunge un ulteriore e rilevante elemento di inattendibilità della prova che, in linea generale, va a minare la stessa credibilità della tesi attorea. Come infatti posto in luce dall’appellante incidentale, tutta la difesa dell’attore (fino anche alle memorie ex art. 183 c.p.c. e alla stessa formulazione del capitolo di prova) è basata su una ricostruzione per cui la caduta dello scooter (la cui velocità ad esempio neppure è dichiarata) sarebbe dipesa dalla repentinità della manovra di immissione da parte dell’auto, in assenza di collisione tra i mezzi (anzi, proprio «per evitare la collisione»). Viceversa, il teste ha dichiarato invece di aver visto lo scooter andare a collidere con lo sportello dell’auto. […] Sempre in ordine alla dinamica, si noti come l’attore non abbia neppure menzionato il punto esatto dell’impatto in modo da consentirne un riscontro e di confrontarlo magari con foto prodotte in giudizio, così impedendo del tutto qualunque verifica dotata di seria attendibilità ed aggiungendo alla ricostruzione un ulteriore elemento di genericità e di inattendibilità, sul piano dell’allegazione, prima ancora che su quello della prova”;

[4] Corte di Cassazione, III Sezione Civile, ordinanza n. 15100 del 29 maggio 2024, p. 7;

[5] L’articolo stabilisce che “se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile o improcedibile, l’impugnazione incidentale perde ogni efficacia”;

[6] Corte di Cassazione, III Sezione Civile, ordinanza n. 15100 del 29 maggio 2024, p. 8;

[7] Id., p. 3;

[8] Corte di Cassazione, id., p. 5; Sul punto viene specificamente richiamata Cass., III sez., n. 26139 del 5 settembre 2022: “In base al combinato disposto di cui agli artt. 334, 343 e 371 c.p.c., è ammessa l’impugnazione incidentale tardiva (da proporsi con l’atto di costituzione dell’appellato o con il controricorso nel giudizio di cassazione) anche quando sia scaduto il termine per l’impugnazione principale, e persino se la parte abbia prestato acquiescenza alla sentenza, indipendentemente dal fatto che si tratti di un capo autonomo della sentenza stessa e che, quindi, l’interesse ad impugnare fosse preesistente, dato che nessuna distinzione in proposito è contenuta nelle citate disposizioni, dovendosi individuare, quale unica conseguenza sfavorevole dell’impugnazione cosiddetta tardiva, che essa perde efficacia se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile”;

[9] Cass. Sez. Un. sentenza n. 8486 del 28 marzo 2024;

[10] Si pensi alle risalenti Sezioni Unite n. 4640 del 7 novembre 1989, seguite dalle più recenti Sez. Unite n. 24627 del 27 novembre 2007;

[11] Ex multis Cass. III sez. civ., ordinanza n. 26139 del 5 settembre 2022; Cass., III sez. civ., ordinanza n. 25285 dell’11 novembre 2020; Cass. VI sez., ordinanza n. 14094 del 7 luglio 2020;

[12] Codice del processo amministrativo, d.lgs. n. 104 del 2 luglio 2010;

[13] Cass. Sez. Un. sentenza del 28 marzo 2024, n. 8486, p. 25;

[14] Cass. Sez. Un. sentenza del 28 marzo 2024, n. 8486, p. 44-46;

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[15] Id. p. 18.

[16] Id. p. 29.

[17] Corte di Cassazione, III sez. civ., ordinanza n. 15100 del 29 maggio 2024, p. 7;

[18] Ad esempio Cass. III sez. civ. ordinanza n. 31135, 21 ottobre 2022; Cass. III sez. civ., ordinanza n. 2761629 ottobre 2019; Cass. III sez. civ., sentenza n. 6156 del 14 marzo 2018;

[19] Corte di Cassazione, III Sezione Civile, ordinanza n. 15100 del 29 maggio 2024, p. 5; nell’ordinanza citata vengono poi richiamati i seguenti precedenti: Cass. n. 321 del 12 gennaio 2016; Cass. n. 22860 del 6 dicembre 2004; Deve essere ricordata anche Cass. III sez. civ., sentenza n. 16272 del 25 settembre 2012, secondo cui “I ricorrenti devono necessariamente dedurre come il vizio di rito abbia «influito sulla fondatezza della domanda»”;

[20] Cass., Sez. Un., sentenza n. 24627 del 27 novembre 2007; Cass. VI sez. civ., sentenza n. 13425 del 30 giugno 2016; Cass. I sez. civ. sentenza n. 17956 del 11 settembre 2015; Cass. II sez. civ., sentenza n. 20311 del 4 ottobre 2011; Cass. I sez. civ., sentenza n. 10696 del 10 maggio 2007; Corte di Cassazione, III Sezione Civile, ordinanza n. 15100 del 29 maggio 2024, p. 5;

[21]V. Cass. I sez. civ. ordinanza n. 16117 del 28 luglio 2020: “il provvedimento di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, comunque pronunciato (ritualmente con separato decreto o all’interno del provvedimento di merito) anche per manifesta infondatezza, deve essere sempre considerato autonomo e, di conseguenza, soggetto ad un separato regime d’impugnazione, ovvero l’opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170 e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15. Contro tale provvedimento è ammesso il ricorso ex art. 111 Cost. E’ escluso, anche in questa ipotesi, che della revoca irritualmente disposta dal giudice, nel provvedimento che decide sul merito della domanda (o delle domande) proposta dalla parte, possa essere investita la Corte di Cassazione in sede di ricorso avverso la decisione, essendo necessario ricorrere alla sequenza procedimentale sopra delineata”. La sentenza richiama Sez. Un. n. 4315 del 20 febbraio 2020 che ha stabilito che “il provvedimento di revoca, comunque sia pronunciato (con separato decreto o con la sentenza che definisce il giudizio), va sempre considerato autonomo rispetto alla sentenza che definisce la causa ed è soggetto ad un autonomo regime di impugnazione”.

[22] Cass. Sez. Un. Sentenza n. 4315 del 20 febbraio 2020;

[23] Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, del d.P.R. n. 115 del 2002, art 170: “Opposizione al decreto di pagamento 1. Avverso il decreto di pagamento emesso a favore dell’ausiliario del magistrato, del custode e delle imprese private cui è affidato l’incarico di demolizione e riduzione in pristino, il beneficiario e le parti processuali, compreso il pubblico ministero, possono proporre opposizione. L’opposizione è disciplinata dall’articolo 15 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150”;

[24] Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69, d.lgs. n. 150 del 2011, art 15: “Dell’opposizione a decreto di pagamento di spese di giustizia. 1. Le controversie previste dall’articolo 170 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono regolate dal rito semplificato di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo. 2. Il ricorso è proposto al capo dell’ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato. Per i provvedimenti emessi da magistrati dell’ufficio del giudice di pace e del pubblico ministero presso il tribunale è competente il presidente del tribunale. Per i provvedimenti emessi da magistrati dell’ufficio del pubblico ministero presso la corte di appello è competente il presidente della corte di appello. 3. Nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente. 4. L’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa secondo quanto previsto dall’articolo 5. Il presidente può chiedere a chi ha provveduto alla liquidazione o a chi li detiene, gli atti, i documenti e le informazioni necessari ai fini della decisione. 6. La sentenza che definisce il giudizio non è appellabile”.

[25] Corte di Cassazione, III sez. civ., ordinanza n. 15100 del 29 maggio 2024, p. 8; Ex multis si veda Cass. civ., sez. lavoro, sentenza n. 8740 del 3 aprile 2024: “non valendo notoriamente ea sorreggere il ricorso per cassazione censure il cui fine sia quello di addurre difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di legittimità”; Cass., Sez. Un., sentenza n. 34476 del 27 dicembre 2019: “La giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai consolidata (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. Un., 18 aprile 2018, n. 9558; Cass., Sez. Un., 31 dicembre 2018, n. 33679) nell’affermare che: il novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma; nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sè, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione”; Cass., Sez. Un., sentenza n. 24148 del 25 ottobre 2013 ma anche Cass. del 22 novembre 2023, n. 32505;





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