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Stalking sui social: anche pochi post su Facebook possono costituire reato.
La Corte di Cassazione ha recentemente emesso una sentenza che chiarisce un aspetto rilevante dell’uso dei social network: anche un numero limitato di post offensivi pubblicati sul proprio profilo Facebook può configurare il reato di stalking. La sentenza n. 33986, depositata il 5 settembre, affronta un caso in cui l’autore ha pubblicato contenuti lesivi sulla propria bacheca, non su quella della vittima, ma comunque ritenuti sufficienti per configurare atti persecutori.
Post lesivi e stalking: la decisione della Cassazione
Nel mondo digitale di oggi, i social network offrono un ampio spazio per esprimere opinioni e partecipare a discussioni, ma come dimostra la recente pronuncia della Cassazione, l’uso disinvolto di questi strumenti può comportare rischi legali. Nel caso specifico, un uomo è stato condannato per stalking dopo aver pubblicato due post su Facebook. Nonostante i contenuti non fossero indirizzati direttamente alla vittima attraverso il suo profilo, la loro natura molesta è stata sufficiente per giustificare la condanna.
Il percorso giudiziario
Il caso ha avuto origine da una sentenza del Tribunale di Vercelli, confermata poi dalla Corte d’appello di Torino, che aveva condannato l’imputato per stalking, imponendogli anche il risarcimento dei danni alla parte lesa. L’uomo aveva pubblicato i post offensivi sul proprio profilo Facebook, attaccando una persona con cui aveva già avuto precedenti di conflittualità.
Nonostante il ricorso in Cassazione, la Suprema Corte ha respinto le motivazioni dell’imputato, confermando la validità delle sentenze di primo e secondo grado. La Cassazione ha ritenuto che il contesto di accesa conflittualità e gli atti di violenza pregressi contro la moglie dell’imputato rafforzassero la tesi di una condotta persecutoria.
Quando due post possono costituire stalking
La sentenza della Cassazione sottolinea che non è necessario un numero elevato di azioni per configurare il reato di stalking. Anche due soli post molesti o minacciosi possono essere sufficienti, se questi generano nella vittima un grave stato di ansia o alterano le sue abitudini di vita. Il reato è configurabile anche se i messaggi non vengono pubblicati direttamente sul profilo della persona offesa, purché siano accessibili ad altri e conoscibili dalla vittima stessa.
L’uso di Facebook come strumento di persecuzione
Nel caso in esame, i post incriminati erano stati pubblicati su un profilo aperto e visibile a terzi, tra cui persone vicine alla vittima, come la sorella, che ha informato quest’ultima dei contenuti offensivi. La Cassazione ha ribadito che, in situazioni simili, non è necessario che la vittima sia iscritta al social network per considerare sussistente il reato: è sufficiente che i messaggi siano conoscibili da parte di terzi e potenzialmente arrivino alla vittima.
Le sanzioni previste per il reato di stalking
Lo stalking, introdotto dall’art. 612 bis del codice penale, è punito con pene che vanno da un anno a sei anni e sei mesi di reclusione. La condanna è prevista per chi, con condotte reiterate, minaccia o molesta una persona, provocandole uno stato di ansia o paura persistente, oppure alterando le sue abitudini di vita. Le pene aumentano se il reato è commesso attraverso strumenti informatici o telematici, come nel caso di Facebook.
Conclusioni: l’uso dei social non esime dalla responsabilità penale
Questa sentenza della Cassazione evidenzia come anche un uso apparentemente innocuo dei social network possa configurare il reato di stalking. Anche pochi messaggi pubblicati in un breve arco di tempo possono essere considerati persecutori, se incidono negativamente sulla serenità e le abitudini di vita della vittima. L’orientamento giuridico è chiaro: la responsabilità penale per atti persecutori non dipende dalla durata della condotta, ma dalla sua capacità di generare ansia e paura nella persona offesa.
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