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Uno dei casi più comuni nei rapporti condominiali è quello concernente la titolarità di un bene, dichiarato o dichiarabile di natura esclusiva o comune. L’azione messa in atto per ottenere una declaratoria in questo senso si configura come azione a difesa della proprietà con tipica finalità recuperatoria che vede contrapposti due soggetti.
Una recente sentenza, allineandosi alla costante giurisprudenza, ha ribadito e motivato perché nell’azione di rivendicazione il condominio è privo di legittimazione che, al contrario, è riservata ai condomini.
I singoli condomini e non il condominio sono legittimati all’azione di attribuzione di un bene immobile. Fatto e decisione
La questione portata all’attenzione del Tribunale di Isernia il quale, con sentenza n. 291 in data 22 luglio 2024, ha rigettato le domande di attore e convenuto è incentrata, da un lato, sulla legittimazione passiva del condominio rispetto all’azione di rivendicazione di un bene immobile (nella specie: un’area) incardinata nei suoi confronti e, dall’altro lato, sulla legittimazione attiva del convenuto a proporre domanda di usucapione del bene. Questi i fatti.
Un terzo, che rivendicava di essere proprietario di un’area censita in catasto, avviava, nei confronti di un condominio un’azione di accertamento della proprietà di una particella, chiedendo che il tribunale adito condannasse il convenuto al rilascio di detta area, con conseguente condanna al risarcimento dei danni patiti dalla data di acquisto a quella del rilascio e quantificabili anche secondo giustizia.
Il convenuto chiedeva, in via principale, il rigetto della domanda eccependo che l’area in questione era stata destinata a parcheggio per effetto di concessione edilizia e, in via subordinata, il riconoscimento della proprietà della stessa per intervenuta usucapione.
La questione della doppia legittimazione, non eccepita dalle parti, veniva sollevata d’ufficio dal giudice e la causa veniva decisa in rito con il rigetto di entrambe le domande.
Per ordine logico il Tribunale ha esaminato la domanda dell’attore nei confronti del condominio convenuto che è stato dichiarato carente di legittimazione passiva e la decisione non poteva che essere conforme al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità che si era espressa in modo inequivocabile, affermando che “in tema di condominio negli edifici, qualora un condomino agisca per l’accertamento della natura condominiale di un bene, non occorre integrare il contraddittorio nei riguardi degli altri condomini, se il convenuto eccepisca la proprietà esclusiva, senza formulare, tuttavia, un’apposita domanda riconvenzionale e, quindi, senza mettere in discussione – con finalità di ampliare il tema del decidere ed ottenere una pronuncia avente efficacia di giudicato – la comproprietà degli altri soggetti” (Cass. Sez. Un. 13 novembre 2013, n. 25454).
Ancora più illuminante la successiva decisione della Corte, in quanto riproducente un caso speculare a quello oggetto della controversia in questione: “la domanda di un terzo estraneo al condominio, volta all’accertamento, con efficacia di giudicato, della proprietà esclusiva su di un bene condominiale ed al conseguente rilascio dello stesso in proprio favore, si deve svolgere in contraddittorio con tutti i condomini, stante la loro condizione di comproprietari dei beni comuni e la portata delle azioni reali, che incidono sul diritto “pro quota” o esclusivo di ciascun condomino, avente pertanto reale interesse a contraddire” (Cass. 14 febbraio 2018, n. 3575).
Gli stessi presupposti hanno portato il Tribunale a respingere la domanda riconvenzionale in usucapione avanzata dal condominio, dal momento che dall’accoglimento della stessa consegue un mutamento della posizione patrimoniale dei singoli partecipanti al condominio e non di quest’ultimo, notoriamente ente di gestione e, proprio per questo, privo di personalità giuridica.
Il legame tra legittimazione ad causam e litisconsorzio necessario
La sentenza oggetto di commento ha posto al centro l’annosa questione della legittimazione, passiva od attiva del condominio, allorché l’oggetto della controversia sia rappresentato non solo dalla rivendica, da parte di un partecipante al condominio o di un terzo soggetto, nei confronti dell’ente di un bene ritenuto esclusivo, ma anche nella situazione opposta, in cui sia lo stesso condominio a chiedere che gli venga riconosciuta la proprietà dello stesso per effetto di usucapione.
In entrambi i casi si viene a creare una stretta connessione tra legittimazione all’azione, attiva o passiva, e il c.d. “litisconsorzio necessario“ che si determina allorché, nell’ambito di un giudizio che interessa più parti, la sentenza non possa che essere pronunciata nei confronti di più soggetti, dal momento che gli effetti della stessa ricadono su tutte le parti, anche su quelle che non hanno partecipato al giudizio in essere.
La norma regolatrice è l’art. 102 c.p.c. secondo il quale “se la decisione non può pronunciarsi che nei confronti di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo“. La norma, poi, determina una possibilità di salvare il giudizio in corso stabilendo che “se questo [n.d.a. il processo] è stato promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordine l’integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito“.
La disposizione è stata definita “norma in bianco”, in quanto è stato demandato all’interprete individuare i casi in cui si verta nell’ipotesi di litisconsorzio necessario al di là di quelli stabiliti per legge.
Fatta questa necessaria premessa, la questione de qua, che – come osservato – da un punto di vista processuale si risolve in una eccezione avente ad oggetto la non integrità del contraddittorio rilevata dalla parte o, come nel caso concreto, d’ufficio dal giudice, interessa spesso la materia condominiale, allorché oggetto della controversia sia l’accertamento della proprietà di un bene immobile.
Quando cioè il condomino, il terzo oppure il condominio chiedano al giudice di pronunciarsi sull’appartenenza di un determinato bene, esclusivo o comune, in capo ad un determinato soggetto rivendicando il bene in contestazione che sia posseduto o detenuto da altri (art. 948 c.c.).
La giurisprudenza richiamata nella decisione del Tribunale di Isernia è chiara e non lascia spazio a dubbi, in particolare la decisione n. 3575/2018, poiché ha colto l’essenza della questione: l’accoglimento della domanda di rivendicazione di un bene immobile in capo ad un determinato soggetto determina un mutamento delle originali quote millesimali di proprietà che interessano, singolarmente, tutti i partecipanti, richiedendo, quindi, la loro partecipazione al giudizio.
La stessa ratio è posta a fondamento della domanda di usucapione che sia stata promossa, anche se in via riconvenzionale, dal condominio. Infatti, è stato chiarito che “in tema di condominio negli edifici, la proposizione di una domanda diretta alla estensione della proprietà comune mediante declaratoria di appartenenza al condominio di un’area adiacente al fabbricato condominiale, siccome acquistata per usucapione, implicando non solo l’accrescimento del diritto di comproprietà, ma anche la proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlati, esorbita dai poteri deliberativi dell’assemblea e dai poteri di rappresentanza dell’amministratore, il quale può esercitare la relativa azione solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascun condomino” (Cass. 9 novembre 2020, n. 25014).
A ben vedere tale decisione introduce una nuova questione, che riguarda la negazione del potere dell’assemblea di deliberare una tale azione con le maggioranze canoniche previste dall’art. 1136 c.c. Ciò significa che il consenso assembleare sarà valido solo nel caso in cui rispecchi l’unanimità dei consensi espresso nella percentuale dei 1000 millesimi.
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